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Marco Trabucchi scrive a Uneba: tuteliamo il presente delle strutture per anziani,e costruiamo il loro futuro

Uneba ha ricevuto domenica 5 aprile 2020 e con piacere pubblica questo interessante contributo firmato da Marco Trabucchi, presidente del Gruppo di Ricerca Geriatrica. I grassetti li abbiamo messi noi

La grande epopea delle case di riposo continua, una storia davvero gloriosa che tutta la società italiana deve onorare oggi e lo dovrà fare ancor più domani.

Contribuisco al notevolissimo impegno esercitato da Uneba in questi giorni con alcuni appunti, sperando possano costituire spunti di appoggio per chi deve decidere e per chi opera con intelligenza e generosità.

  1. Nonostante tutto, vi sono ancora alcuni minimizzatori, che per interesse o per stupidità sostengono che “non poteva che andare così. Non ci sono colpe, è un fatto che fotografa la realtà”. Purtroppo, questi pensatori non sono rari; ritengo non si debba perdere tempo in polemiche, ma che per loro valga la frase di Bonhoeffer: “Parlando con lo stupido ci si accorge che non si ha a che fare direttamente e personalmente con lui, ma con gli slogan, i motti, i luoghi comuni da cui è dominato”. In compenso, in queste settimane sono stati molti coloro che con intelligenza, cultura e coraggio si sono impegnati al fine di costruire una vita buona per gli ospiti delle strutture per anziani
  2. Poi vi sono quelli che in questo momento, con scarso senso di opportunità, insistono sulla le alternative alla casa di riposo (assistenza domiciliare, cohousing, ecc.). Non si rendono conto della realtà. I concittadini ricorrono alle residenze per anziani quando le condizioni di salute richiedono cure qualificate sul piano clinico e assistenziale, che non possono essere prestate in maniera adeguata a casa. Qualche decennio fa le cose stavano diversamente, ma oggi sono molto pochi gli ospiti delle nostre residenze per anziani che potrebbero restare a casa ricevendo gli interventi ai quali hanno diritto. Non vorrei che con questa retorica si raggiunga il risultato di privare gli anziani di atti qualificati e spesso salvavita (proprio quando ci siamo tanto preoccupati, con grandi polemiche degli eticisti, per evitare il diritto alla fruizione dei servizi ospedalieri solo da parte di chi non ha superato una certa età). Inoltre, non vorremmo che questo richiamo al dovere di costruire alternative faccia aumentare il senso di colpa dei parenti, già gravemente sofferenti per la separazione forzata imposta dal virus. Qualcuno potrebbe pensare con dolore: “…lo dicono anche gli esperti che potevamo tenere la mamma a casa…”.
  3. Non siamo ancora arrivati all’apice dell’epidemia e quindi non vogliamo sentir parlare di allentamento delle restrizioni. Soprattutto non vorremmo che si volessero utilizzare tecniche non ancora validate, come la rilevazione degli anticorpi, per permettere ai nostri concittadini di uscire di casa. Dobbiamo controllare con attenzione che ciò non avvenga, anche perché il permanere di focolai all’interno delle case di riposo potrebbe essere causa di ulteriore contagio. Con una possibile conseguenza: le nostre strutture verrebbero accusate di provocare un prolungamento dell’epidemia! Deve essere indiscutibile: nulla si concede se prima anche nei nostri luoghi non si sia conclusa la diffusione del virus.
  4. Pensando al domani, invito Uneba a convocare le società scientifiche dell’area anziani per mettere a punto, appena sarà finita l’attuale tragedia, linee guida realistiche su come gestire le future emergenze. Guai al fatalismo; seguiamo le indicazioni di chi sostiene che queste sventure rischiano di tornare! E allora è necessario trarre indicazioni da quanto è avvenuto di negativo e di positivo in queste settimane, per inserire nella vita di tutti i giorni alcune modalità di lavoro irrinunciabili. Sarà anche necessario chiedere alle Regioni di allentare, razionalizzandole, le pratiche burocratiche che sono state emanate in questi anni. Al momento della crisi si sono spesso dimostrate inutili orpelli. Un’ altro aspetto delicato è quello della formazione degli operatori; devono ricevere una cultura specifica per il lavoro nelle residenze, che è diverso da quello prestato nel territorio o negli ospedali. Quindi è necessario prevedere una parte del curriculum universitario dedicato specificamente a questi compiti; ma va anche previsto un trattamento economico e normativo simile a quello degli altri comparti della sanità (non ha significato logico l’attuale disparità, fondata su modelli professionali non realistici e del passato), anche per evitare le trasmigrazioni verso l’ospedale che si sono verificate in queste settimane. Questo fatto ha provocato gravi problemi per la formazione dei turni, già aggravati da malattie e quarantene, oltre che dall’esigenza di raddoppiare in alcune casi le equipe di lavoro per garantire la necessaria separazione tra nuclei covid e non covid.
  5. Non dimentichiamo la drammatica pressione dell’oggi. Ancora incertezze sui movimenti degli ospiti sia in entrata che in uscita, ancora assolutamente inadeguata la disponibilità di strumenti di protezione, incerta la formazione di equipe di supporto al lavoro dentro le strutture, numeri di morti che non corrispondono alla realtà. Nel sottofondo vi è una linea politica -appena accennata, ma purtroppo diffusa- che considera le strutture per anziani come realtà esterne al welfare regionale, per cui devono costruire da sole il proprio futuro. Se i grandi fondatori e benefattori del passato potessero essere informati di questa deformazione della realtà… che peraltro ha pesanti conseguenze sul piano economico e quindi sulla realistica possibilità di molte strutture di continuare a onorare una nobile tradizione. Occorre un ripensamento radicale sulla complessiva organizzazione dei servizi sanitari e socio sanitari di ogni regione; non possiamo permettere di essere assenti quando si decideranno aspetti così importanti del nostro futuro

Marco Trabucchi

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